Perché gli Ulivi fanno molti più fiori che frutti?

Matteo Giusti

Un professore dell’Università di Almeria, in Spagna, ha valutato diverse ipotesi su questa caratteristica della fioritura dell’ulivo, scartandone alcune molto in voga e facendo considerazioni sulla gestione delle piante

Ci sono molte piante che fanno più fiori che frutti, specialmente tra le piante legnose che hanno un’impollinazione incrociata. 

Ma nel caso dell’ulivo la quantità di fiori che non arrivano a diventare frutti maturi è davvero impressionante. In un’annata buona, una pianta in piena produzione può fare oltre 500mila fiori, per poi far arrivare a frutti maturi solo l’1% di questi o poco più.

Il 98-99% dei fiori che sono sbocciati, infatti, cadono in tre ondate di cascole, le prime due che fanno cadere fiori e la terza che fa cadere le olive nelle primissime fasi di sviluppo.

Ma perché avviene tutto questo? È un vero e proprio spreco di risorse biologiche da parte della pianta (che noi vediamo anche come una perdita di produzione) o ha un significato evolutivo?

A queste domande ha cercato di rispondere il professor Julian Cuevas dell’Università di Almeria in Spagna, andando a valutare vari studi disponibili su questo fenomeno e pubblicando le sue considerazioni sulla rivista scientifica Horticulture Magazine.

Per prima cosa è bene fare una breve panoramica sulla fioritura dell’ulivo. Questa pianta fa due tipi di fiori: un tipo praticamente solo maschile (che quindi non potrà mai portare ad un’oliva) e un tipo ermafrodita, quindi anche con gli organi sessuali femminili, che dopo l’impollinazione daranno origine ai frutti.

E le tre ondate di cascole interessano per primi i fiori maschili, circa una settimana dopo l’inizio della fioritura, poi quelli ermafroditi (spesso già fecondati) un’altra settimana dopo, e poi le olive nelle prime fasi di sviluppo, 3-4 settimane dopo l’inizio della fioritura.

A partire da tutto questo il professor Cuevas ha valutato quelle che attualmente sono le sei ipotesi con cui si è cercato di spiegare il fenomeno della enorme cascola di fiori e di frutti che porta al dato impressionante del 98-99% di fiori abortiti.

La prima ipotesi è che questa grande quantità di fiori possa servire ad attrarre più impollinatori; la seconda è che molti fiori cadano per una mancata impollinazione; la terza che i molti fiori servano per aumentare le performance maschili, diffondendo la maggior quantità possibile di polline nell’ambiente; la quarta ipotesi è che molti fiori e frutticini cadano per una scarsità di risorse nutrizionali o idriche delle piante; la quinta è che non ci sia un eccesso di fiori, ma che in condizioni ottimali la pianta possa essere in grado far arrivare a oliva matura tutti i fiori ermafroditi; e infine la sesta ipotesi, che dice che ci possa essere una selezione sessuale con aborti selettivi che porti a mantenere solo i frutti con i semi migliori.

Seguiamo allora le considerazioni del professor Cuevas, ipotesi per ipotesi.

Prima ipotesi: attrarre impollinatori

Molte piante producono molti fiori per essere più attrattive per i pronubi e quindi garantirsi più visite e un miglior servizio di impollinazione. E in effetti anche nel genere Olea sono molti gli insetti attratti e una specie in particolare, Olea ferrugine, è di fatto sia entomofila (cioè con impollinazione fatta dagli insetti pronubi) che anemofila (cioè con impollinazione affidata al vento).

Ma, secondo Cuevas è evidente che l’ulivo, Olea europea, si sia evoluto diventando di fatto quasi esclusivamente anemofilo, nonostante abbia fiori a petali bianchi e profumati capaci di attrarre insetti, e questo porterebbe a scartare questa prima ipotesi (anche se – aggiungiamo noi – non si può nemmeno escludere che l’eccesso di fiori possa essere un relitto evolutivo, cioè una caratteristica che per la pianta attuale non abbia una funzionalità, ma che la avesse nei suoi progenitori).

Inoltre succede spesso che nelle annate di grande fioritura il numero di frutti che arrivano a maturazione rispetto ai fiori siano meno in percentuale che nelle annate di scarsa fioritura. Cioè quando ci sono meno fiori, la percentuale di successo è maggiore.

E questo sarebbe evidentemente in contraddizione con il fatto che più fiori attirino più pronubi e quindi le piante siano impollinate meglio e facciano più frutti.

Seconda ipotesi: mancanza di impollinazione

Questa seconda ipotesi, secondo cui i fiori cadrebbero per difetti di impollinazione, cioè perché non impollinati o impollinati male, sembra essere smentita dai fatti. La quantità di polline nell’aria al momento della fioritura solitamente è sovrabbondante e la maggior parte dei fiori ermafroditi è raggiunta dai granuli pollinici. È anche vero però che l’olivo è una specie autosterile, cioè che non può o ha grandi difficoltà ad autoimpollinarsi o ad essere impollinata da piante della stessa varietà. Tuttavia è stato osservato che in una cultivar, il Manzanillo, oltre la metà dei fiori ermafroditi caduti erano fecondati, indicando che i difetti di impollinazione da soli non bastano a spiegare il fenomeno.

Terza ipotesi: garantire una maggiore produzione di polline

Secondo Cuevas questa ipotesi mostra alcuni aspetti interessanti, ma non riesce da sola a spiegare completamente il fenomeno della consistenza della cascola. Secondo questa ipotesi infatti la maggior parte dei fiori che cadono sono fiori maschili, che quindi non daranno olive, ma servono solo per aumentare la produzione di polline nell’ambiente.

E questo è stato osservato anche in altre specie vegetali, in particolare in quelle monoiche, cioè che hanno i fiori a sessi separati sulla stessa pianta come il mais o le zucche, e in quelle dioiche, che hanno fiori a sessi separati su piante diverse come il kiwi. In queste piante infatti la cascola dei fiori maschili è maggiore e questo permette alle piante di ottimizzare le proprie risorse, sacrificando se necessario i fiori che non daranno frutti e semi.

Inoltre, i fiori maschili dell’ulivo derivano da fiori ermafrodi in cui si atrofizzano gli organi femminili, cosa che può avvenire in varie fasi di sviluppo del fiore.

E in particolare avviene sui fiori che si trovano nelle zone più sfavorevoli dell’infiorescenza, sulle seconde o terze ramificazioni della mignola, cosa che indicherebbe che i fiori maschili si formino nelle posizioni in cui le risorse nutritive rischiano di essere più scarse.

Secondo Cuevas sembra quasi che l’olivo fosse sulla strada evolutiva per diventare monoico, ma si chiede come mai poi questa transizione non si sia completata.


Tuttavia questa ipotesi non spiega la cascola dei fiori ermafroditi e dei frutticini, che comunque ha una consistenza non indifferente.

Quarta ipotesi: limitazione delle risorse

Secondo questa ipotesi una limitazione delle risorse (acqua e nutrienti) sarebbe alla base della competizione tra i fiori e tra i frutti e della conseguente grande cascola. Questa ipotesi è in parte confermata anche dal fenomeno della formazione dei fiori maschili in zone più svantaggiate e con meno risorse della mignola. 


Inoltre, per quanto riguarda i frutti, è stato osservato che se la dimensione è minore (nelle cultivar a frutti piccoli o anche in cultivar a frutti grandi ma in primavere più fresche), il numero di frutti per mignola e per pianta aumenta. Anche se a volte la produttività complessiva della pianta non cambia.


Un fenomeno simile è stato osservato diradando le infiorescenze. Piante a cui sono state tolte la metà delle mignole in fioritura hanno mostrato un maggior numero di olive per mignola su quelle restanti, ma alla fine il numero totale di olive per pianta era pressoché uguale rispetto alle piante non diradate. Come se ci fosse un limite di frutti o di massa di frutti per pianta.


È stato anche visto che in condizioni sperimentali ottimali, con irrigazione e concimazione perfette, il rapporto olive/fiori può salire al 5-6% – che comunque vorrebbe dire già quintuplicare il raccolto –  ma che resta sempre una percentuale piuttosto bassa.

Quinta ipotesi: i fiori potrebbero servire tutti o essere una riserva ovarica

Questa ipotesi è in parte simile alla precedente, cioè considera che i fiori siano troppi solo perché le condizioni ambientali non sono adeguate, ma che in condizioni ottimali potrebbero andare a frutto se non tutti, buona parte.

Questo è piuttosto verosimile negli olivi selvatici dove il fattore limitante principale è la disponibilità d’acqua e in caso di stagioni piovose si hanno produzioni di frutti molto elevate. Ma con gli ulivi coltivati questo fenomeno non è così spiccato.

Come abbiamo già visto anche in condizioni ottimali di irrigazione e nutrienti la percentuale di fruttificazione sale solo al 5-6%. E lo stesso può dirsi nei confronti di altri fattori, come la presenza di impollinatori, che non comporta un aumento significativo della fruttificazione. 


L’altro aspetto di questa ipotesi è che il numero elevato di fiori possa fungere da riserva di ovari, da scorta, in caso alcuni fiori siano danneggiati da condizioni avverse o soprattutto da parassiti. Un aspetto che troverebbe una conferma nell’esperimento del diradamento delle mignole che porta ad avere un numero maggiore di frutti su quelle rimaste, ma che da solo non spiega comunque il numero totale dei fiori che resta comunque molto elevato rispetto ai frutti che raggiungeranno la maturazione.

Sesta ipotesi: selezione sessuale

Secondo questa ipotesi la grande quantità di fiori e frutticini persi è dovuta ad una selezione sessuale che mira a mantenere vitali e a portare a maturazione solo i frutti con i semi migliori, dal punto di vista della fitness, cioè della loro capacità riproduttiva.

A favore di questa teoria ci sono delle nuove osservazioni che mostrano come a livello delle giovani olive tendano a cadere quelle che hanno il seme più piccolo o che, come in alcuni casi succede, abbiano due semi, che necessariamente sono più piccoli. 


Inoltre è stata ipotizzata una competizione prima della fecondazione, che tenderebbe a mandare a frutto i fiori che sono stati raggiunti da un maggior numero di granuli pollinici e dove quindi ci sia stata una grande competizione tra i granuli pollinici stessi.


Questa sesta ipotesi è molto appoggiata da Cuevas, anche se possiamo osservare che alla fine è valida solo per i fiori ermafroditi.

Considerazioni sulla gestione dell’oliveto

Andando sul lato pratico della gestione dell’oliveto, secondo Cuevas insistere sulla concimazione o sull’irrigazione per aumentare il numero dei frutti non è una strategia interessante perché non porterebbe comunque ad un miglioramento non elevato (per quanto arrivare ad un 3-4% di fiori che arrivano a frutto, vorrebbe dire raddoppiare o triplicare la produzione).


Anche la riduzione dei fiori tramite la potatura non porta a effetti particolarmente significativi, visto che sia a partire da molti fiori che da pochi fiori il numero totale di olive per pianta tende a cambiare di poco. La potatura per ridurre il carico di fiori per Cuevas sarebbe utile soprattutto negli anni di carica, per ridurre un eccesso di fiori che inibirebbe la fioritura dell’anno successivo, riducendo così il fenomeno dell’alternanza produttiva.


Secondo Cuevas la percentuale dell’1-2% di olive rispetto ai fiori è un rapporto ottimale, dettato anche dalla biologia della pianta, soprattutto legata alla selezione sessuale, e che permette di avere olive di buona qualità.

E quindi l’aspetto principale da gestire è la massimizzazione dell’impollinazione incrociata basata sull’uso razionale delle piante impollinatrici.

Nostre conclusioni

Noi però possiamo osservare che tra tutte le osservazioni fatte manca un aspetto molto importante dal punto vista della biologia evolutiva: l’ulivo è una pianta domesticata e quindi il suo sviluppo evolutivo potrebbe essere stato sensibilmente alterato dall’uomo. E se questo fosse confermato potrebbe lasciare ampio margine di manovra ad azioni di miglioramento genetico mirato.


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